Articolo pubblicato sul Corriere della Sera salute il 28 gennaio 2014 di Daniela Natali
Un originale mix di metodiche per intervenire su esiti di traumi ma anche su sofferenze cronicheServe per trattare la componente muscolare e fibrosa dei dolori artroreumatici e si ispira alle tecniche dei “conciaossa”, alla medicina tradizionale cinese e in parte al metodo messo a punto, nei primi anni dopo la Seconda guerra Mondiale, dal fisioterapista svedese Kurt Ekman. Elkman, che si serviva di strumenti simili a “ganci” per agire sui tessuti più in profondità di quanto possa fare il massaggio, aveva battezzato la sua tecnica “fibrolisi diacutanea” (letteralmente: “fibrolisi” attraverso – dia in greco – la cute); la “nuova” fibrolisi, nata alla fine degli anni Ottanta si chiama miofibrolisi (sempre dal greco: mio, cioè muscolo) integrata.
IL METODO – Spiega Giulio Picozzi, specialista in terapia fisica e riabilitazione che di questa tecnica (insieme a Virginio Mariani, fisioterapista e posturologo,) è il “padre”: «Si tratta di un metodo che permette di “disinbrigliare” le cicatrici che si formano su un muscolo in seguito a strappi, traumi e rotture – ed è quindi molto utilizzata in ambito sportivo – ma che consente anche di agire in situazioni in cui il dolore è causato da cattive posture, stress , artrosi, perfino da “zainetti” troppo pesanti. Non ci sono limiti di età: si possono trattare – e lo facciamo quotidianamente – bambini di 5 anni e anziani di 90».
GLI STRUMENTI – «Quello che colpisce l’immaginario dei pazienti sono gli strumenti che usiamo. Ci serviamo di “rotori” che servono per dare una stimolazione simile a quella fornita dall’agopuntura – e che quindi non è detto vengano utilizzati direttamente sui punti dolenti ma anche a distanza – migliorando la circolazione attraverso un’azione blandamente irritativa. In un secondi momento si agisce con dei piccoli stimolatori in acciaio, di forme diverse, studiati per raggiungere e trattare differenti aree anatomiche – spiega sempre Picozzi -. In questo modo si va più in profondità per agire sui “trigger point” – i “punti grilletto”- sui punti algici miofasciali, e cioè i punti dolenti, e sulle fibrosità».
I PUNTI «GRILLETTO» – Ma i trigger point corrispondono ai punti “classici” dell’agopuntura?
«Gli studi effettuati in questi anni ci dicono che circa il 70% dei punti di agopuntura e dei trigger point sono sovrapponibili : ma con la miofibrolisi noi “liberiamo” tutto il tessuto connettivale indipendentemente dal fatto che corrisponda a un trigger point o un punto dell’agopuntura. Agiamo sia sulle zone che effettivamente fanno male, o sulle zone limitrofe, per ridurre la fibrosità che causa l’irrigidimento del muscolo, sia sulla radice nervosa all’origine del dolore».
L’ISPIRAZIONE ORIENTALE – Avete mutuato dalla tradizione orientale anche altro oltre all’agopuntura?
«Nella medicina cinese – chiarisce il dottor Picozzi – per combattere il dolore muscolare si usa anche la “coppettazione”, si applicano cioè sulla cute delle coppette di vetro al cui interno si crea il vuoto con una fiamma. Nella miofibrolisi – che si chiama appunto integrata perché “integra” quello che di più efficace abbiamo trovato nelle varie tradizioni popolari – noi preferiamo usare coppette di plastica colorate per sfruttare contemporaneamente sia l’effetto di una suzione precisa sia quello della cromoterapia. Le coppette poste sulla cute agiscono come una “pompa” creando al loro interno un vuoto che genera una decompressione dei tessuti. Quest’azione migliora localmente la circolazione sanguigna e linfatica: i tessuti non vengono “schiacciati”, come avviene nel massaggio “classico”, ma “scollati”. Ci serviamo poi anche della magnetoterapia che viene dalla tradizione indiana abbinata all’uso dei nostri “rotori”».
LE ASSOCIAZIONI – Che cos’ha in più la vostra tecnica rispetto, per esempio, agli esercizi di stretching che pure servono a decontrarre i muscoli?
«La miofibrolisi si associa bene a altre metodiche. Può potenziare lo stretching, facilitare le correzioni posturali e le manipolazioni permettendo di ottenere risultati più rapidi».
LE SEDUTE NECESSARIE – Tempi rapidi quanto e duraturi quanto?
«Secondo la nostra esperienza – chiarisce Picozzi – possono essere necessarie dalle 4 alle 12 sedute con una cadenza settimanale o quindicinale. Se si tratta di un semplice esito fibrotico, possono bastare poche sedute, se invece i dolori sono cronici e mantenuti da atteggiamenti posturali viziati è necessario, oltre a suggerire comportamenti ergonomicamente corretti, intervenire più a lungo operando un vero e proprio neuro bilanciamento muscolo fasciale. Il benessere si protrae poi per periodi lunghi».
CONTROINDICAZIONI – Ci sono casi in cui la miofibrolisi non è consigliabile?
«Cute con tagli, ferite, psoriasi, eczemi importanti, fragilità capillare, flebiti in atto – precisa Picozzi -. Maggiore attenzione se il paziente fa uso di anticoaugulanti o se si tratta di una paziente gravida, e naturalmente non interveniamo se ci sono delle lesioni ossee o dei tessuti molli. Noi possiamo agire per sciogliere la retrazione muscolare che si crea dopo un’incidente e la conseguente immobilità, ma certo non “ripariamo” legamenti e ossa. E il nostro lavoro viene dopo una diagnosi medica fatta con scrupolo e attenzione».
SOLO EVIDENZE CLINICHE – Tutto molto interessante, ma ci sono studi scientifici che dimostrino la validità di questo metodo?
«Ci sono anni di esperienza e di evidenze cliniche – risponde Picozzi – e quindici anni di corsi rivolti a fisiatri, ortopedici, fisioterapisti, osteopati e chiropratici. Studi “scientifici” veri e propri ancora no. Stiamo organizzando, per il prossimo settembre, il secondo convegno internazionale di Miofibrolisi Integrata in cui contiamo di raccogliere ulteriori dati elettromiografici ed ecografici che possano dimostrare l’efficacia della metodica. Non è facile condurre studi scientifici in questo campo, come dimostra il fatto che non ce ne siano anche che per molte altre terapie fisiche riabilitative pure utilizzatissime. Anche in via di pubblicazione un testo sui fondamenti neurofisiologici della miofibrolisi».
IL PARERE – E la Società italiana di medicina fisica e riabilitativa (S.I.M.F.E.R.), interpellata in merito, dichiara di «non poter dare pareri obiettivi perché la miofibrolisi integrata – dice Gianpaolo de Sena, uno dei vicepresidente della Società – è una tecnica relativamente giovane , non diffusa capillarmente, e senza sufficienti evidenze in letteratura».
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